domenica 28 marzo 2010

RONALDINHO

Ronaldinho è nato a Porto Alegre, in Brasile. Suo padre era operaio in un cantiere navale, sua madre venditrice e poi infermiera. Il padre di Ronaldinho è morto quando lui aveva 9 anni. Fin dall'infanzia, il migliore amico di Dinho è stato il calcio.
Roberto, suo fratello, è stato un bravo calciatore del Gremio finché non ha subito una serie di infortuni. Il Torino era interessato a lui. Fu Roberto a suggerire a Dinho´s di diventare un calciatore professionista.

Carriera di Club
Gremio
Dopo essere entrato nelle giovanili del Gremio, Ronaldinho nel 1998 arrivò nel primo tempo. Fin dall'inizio ha mostrato un grande controllo di palla e dei dribbling vertiginosi. Ma il suo allenatore non era sicuro di lui. Fece il suo esordio in Coppa Libertadores. I tifosi fecero pressione sull'allenatore per fargli inserire Dinho tra i titolari del Gremio. Alcune buonissime partite lo aiutarono a entrare nella nazionale brasiliana nel 1999.
L'anno 2000 vide Ronaldinho come la grande star della squadra, e sapeva che sarebbe potuto essere il suo ultimo anno in Brasile. Molti club europei lo stavano seguendo e il suo trasferimento in Europa era praticamente inevitabile.

Paris Saint-Germain
A metà 2001 il Paris Saint-Germain annunciò l'acquisto di Ronaldinho come nuova stella del club. La squadra francese aveva vinto la battaglia per averlo con l'Arsenal. Nel suo primo anno a Parigi, Dinho è stato accusato dal suo coach, Luis Fernandez, di non essere così collaborativo con il resto della squadra. Diceva che Ronaldinho usciva troppo la sera. I tifosi accusarono Ronaldinho di fare grandi prestazioni con le grandi squadre e di giocare male contro le piccole. Il rapporto tra il brasiliano nel club francese non era nel suo miglior momento.

L'anno seguente, specie dopo una grande prestazione al Mondiale di Giappone e Corea 2002, dal momento che il PSG era rimasto fuori dalle coppe europee, spinse per un trasferimento. Sia il Barcellona che il Manchester United fecero un'asta per accaparrarselo, ma i catalani offrirono di più e Ronaldinho col fratello e agente Roberto non ebbero dubbi: si trasferì da Parigi a Barcellona.

Barcellona
Nel 2003 Ronaldinho firmò il contratto con il Barcellona. Il presidente Laporta aveva promesso David Beckham, ma l'inglese firmò per il Real Madrid, co l'aiuto della Nike, i catalani acquistarono la nuova stella brasiliana.
Nella sua prima stagione, Ronaldinho ebbe un serio infortunio e dovette mancare per parecchio tempo. Quando tornò, Dinho mostrò le sue magie e il club arrivò secondo nella classifica finale, alle spalle del Valencia. L'anno successivo vide Ronaldinho, Puyol, Eto'o e Xavi tutti insieme per far nascere una grande squadra. Travolsero tutte le altre squadre e vinsero La Liga. Dall'altro lato, vennero eliminati dalla Champions League per colpa del Chelsea dopo la fase a gironi. Quell'anno Dinho vinse il FIFA World Player of the Year davanti a Henry e Shevchenko.
Il sogno di vincere tornò nel 2005-2006. Volevano vincere la Champions League. E lo fecero. Ronaldinho fu il giocatore chiave e il Barcelona vinse la sua seconda Champions League. Il Barcelona battè l'Arsenal a Parigi 2-1. Prima, il Barcelona aveva vinto ancora La Liga, con due storici gol di Ronaldinho allo Stadio Bernabéu contro il Real Madrid. Perfino i tifosi delle Merengues si alzarono, dandogli una meritata standing ovation.
Quello fu l'anno di Ronaldinho: vinse ancora il FIFA World Player of the year, e anche il FIFPro World Player of the Year, premio nel quale fu inserito anche negli undici, poi fu nominato anche calciatore europeo dell'anno e miglior attaccante della Champions League 2004-05, e divenne il terzo brasiliano a vincere il Pallone d'oro, e fu scelto per la squadra UEFA del 2005.
La stagione 2006-2007 non fu buona per Ronaldinho e per il Barcelona. Il Real Madrid vinse La Liga, e il Barça, con Ronaldinho alle prese con problemi fisici, non potè vincere di nuovo la Champions League. Persero anche la finale del Mondiale FIFA per club contro l'Inter Porto Alegre in Giappone. La stampa considerò Ronaldinho colpevole del fiasco dell'intera stagione.
Non è andata meglio la stagione 2007-08, anzi se possibile è stata anche peggiore, fino alle polemiche per il suo peso e per la "pancetta" mostrata in alcune foto. Ora Dinho con il passaggio al Milan spera di poter rinascere.




Carriera in Nazionale

Brasile
Ronaldinho è uno dei pochi ad avere giocato a tutti i livelli della nazionale brasiliana: under 15, under 17, under 20, under 23, e a livello senior. Ronaldinho ha fatto parte della squadra brasiliana che vinse nel 1997 il Mondiale Under 17 in Egitto. Ha anche fatto parte dell'Under 17 nazionale brasiliana che ha giocato il mondiale FIFA in Nigeria nel 1999.
L'esorsio nella nazionale maggiore è avvenuto contro la Lettonia nel giugno del 1999. Il Brasile vinse 3 a 0. In seguito Dinho ha partecipato alla Copa America del 1999 in Paraguay. Ha segnato un gol contro il Venezuela, e il Brasile ha vinto la coppa.
In quello stesso anno, Ronaldinho ha preso parte anche alla Confederations Cup. È stato il migliore del torneo, ma il Brasile ha perso la finale, 4-3 con il Messico. Nel Mondiale del 2002, Dinho ha fatto parte delle “tre R” con Rivaldo e Ronaldo, che hanno portato il Brasile sul tetto del mondo vincendo il torneo. Ha segnato due gol, e la stampa lo ha giudicato uno dei migliori giocatori del torneo. Ronaldinho, con le sue performance in Giappone e Corea, è diventato una star.
Ronaldinho è stato il capitano del Brasile nella Confederations Cup del 2005, ed è stato nominato uomo partita dopo la finale vinta contro l'Argentina, vinta dal Brasile 4 a 1. La Coppa del Mondo del 2006 è stato invece uno dei peggiori momenti per Ronaldinho. Il Brasile ha abbandonato la competizione ai quarti, contro la Francia, ed è stato criticato da tifosi e giornalisti, specialmente Ronaldinho e Ronaldo. La gente ha distrutto una statua di Ronaldinho nella città brasiliana di Chapecó.
Dunga è stato nominato coach del Brasile, e Ronaldinho non ha giocato l'ultima Copa America in Venezuela. Poi Dunga l'ha chiamato per le partite iniziali delle Qualificazioni al Campionato del Mondo FIFA 2010, prima che si infortunasse nella seconda parte della stagione 2008-09.

Premi e riconoscimenti

Gremio
Campionato statale Rio Grande del Sud: 1999
Coppa del Rio Grande del Sud: 1999
Paris Saint-Germain

Coppa Intertoto: 2001
Barcellona
Liga: 2005, 2006
Supercoppa di Spagna: 2005, 2006
UEFA Champions League: 2006
Mondiale per club FIFA 2006: secondo

Premi personali
Pelé ha inserito Ronaldinho nei suoi 125 giocatori top viventi nel marzo 2004.
FIFA World Player of the Year: 2004, 2005
World Soccer Player of the Year: 2004, 2005
Pallone d'Oro France Football: 2005
FIFPro World Player of the Year 2005, 2006
FIFPro World XI: 2005, 2006, 2007
Calciatore UEFA dell'anno: 2005-06
Miglior attaccante UEFA: 2004-05
Sqiadra dell'anno UEFA: 2004, 2005, 2006
Miglior straniero della Liga: 2004, 2006
Trofeo EFE: miglior giocatore ispano-americano della Liga: 2004
Mondiale FIFA, All-Star team: 2002
Pallone di bronzo al Mondiale FIFA: 2006
Capocannoniere della Confederations Cup: 1999
Pallone d'oro della Confederations Cup: 1999
Capocannoniere campionato statale del Rio Grande del Sud: 1999

ROBERTO BAGGIO

Nato il 18 febbraio 1967 a Caldogno, in provincia di Vicenza.
E' un ragazzino quando il padre tenta di trasmettergli l'amore per il ciclismo. Ma Roberto giocava a calcio e lo faceva già con grande fantasia, tecnica ed estro. Inizia a giocare nella squadra della sua città. All'età di 15 anni passa al Vicenza, in serie C. Non ancora maggiorenne, nella stagione 1984/85, segna 12 reti in 29 partite e aiuta la squadra a passare in serie B. Alla serie A non sfugge il talento di Roberto Baggio: viene ingaggaiato dalla Fiorentina.
Esordisce nella massima serie il 21 settembre 1986 contro la Sampdoria. Il suo primo gol arriva il 10 maggio 1987, contro il Napoli. L'esordio in nazionale risale al 16 novembre 1988, contro l'Olanda. Rimane con la Fiorentina fino al 1990, diventando sempre più il simbolo di un'intera città calcistica. Come è prevedibile il distacco è traumatico, soprattutto per i tifosi toscani, che vedono volare il propro beniamino a Torino, dagli odiati nemici della Juventus. Arriva poi l'appuntamento importantissimo dei mondiali casalinghi di Italia '90. Sono queste le notti magiche di Totò Schillaci e Gianluca Vialli. Roberto Baggio inizia il suo primo mondiale in panchina; nella terza gara il CT Azeglio Vicini fa entrare Baggio per farlo giocare in coppia con lo scatenatissimo Schillaci. Contro la Cecoslovacchia segna una rete memorabile. L'Italia grazie anche ai gol di Baggio arriva in semifinale dove trova l'Argentina del temutissimo Diego Armando Maradona, che eliminerà gli azzurri ai calci di rigore.
Con la Juventus Baggio segna 78 reti in cinque campionati. Sono questi gli anni in cui raggiunge l'apice della sua carriera. Nel 1993 vince il prestigiosissimo Pallone d'Oro, nel 1994 il premio FIFA World Player. Con la maglia bianconera vince uno scudetto, una coppa Uefa e una coppa Italia.
Sulla panchina che guida gli azzurri ai mondiali USA '94 siede Arrigo Sacchi. Baggio è attesissimo e non delude. Sebbene i rapporti con l'allenatore non siano felici, gioca 7 partite segnando 5 reti, tutte importantissime. L'Italia arriva in finale dove trova il Brasile. La partita finisce in pareggio e ancora una volta il risultato viene affidato alla lotteria dei rigori. Baggio, uno degli eroi di quest'avventura mondiale, è l'ultimo a dover tirare: il suo tiro finisce sopra la traversa. La coppa è del Brasile.
La Juventus decide di puntare sul promettente giovane Alessandro Del Piero e Baggio viene ceduto al Milan. Gioca solo due stagioni in rossonero, dove viene considerato solo un sostituto. Fabio Capello non riesce a inserirlo nei suoi schemi e anche se alla fine vincerà lo scudetto, il contributo di Baggio al Milan sembrerà trascurabile.
Baggio accetta così l'offerta che arriva da Bologna. Si ritrova a giocare con i rossoblu per l'inconsueto (per lui) obiettivo della salvezza; tuttavia il Bologna gioca un ottimo campionato e Baggio sembra tornato superlativo. Ancora una volta vive una poco serena situazione con il suo allenatore di turno, Renzo Ulivieri, per guadagnare un posto da titolare. Baggio minaccia di andarsene ma la società riesce a mettere d'accordo i due. Arriverà a segnare 22 reti in 30 partite, il suo record personale. Il Bologna si salva con disinvoltura e Roberto Baggio viene convocato per il suo terzo mondiale.
Ai mondiali di Francia '98 Baggio è considerato riserva del fantasista Alessandro Del Piero che però delude le aspettative. Baggio gioca 4 partite e segna 2 reti. L'Italia arriva fino ai quarti dove viene eliminata dalla Francia che poi vincerà il prestigioso torneo.
Il presidente Massimo Moratti, da sempre appassionato estimatore di Roberto Baggio, gli offre di giocare nell'Inter. Per Baggio è una grande possibilità di rimanere in Italia e giocare di nuovo ai massimi livelli. I risultati sono però altalenanti. In Champions League, a Milano, Baggio segna al Real Madrid permettendo all'Inter di passare il turno. Ma pochi giorni dopo la qualificazione il tecnico Gigi Simoni, con cui Baggio ha un ottimo rapporto, viene sostituito. La stagione volgerà verso un tracollo.
Il secondo anno di Baggio con l'Inter è segnato dai difficili rapporti con il nuovo tecnico Marcello Lippi. I due si ritrovano dopo l'avventura juventina, ma Lippi esclude Baggio dai titolari. Ancora una volta si ritrova a partire dalla panchina. Nonostante ciò, appena ha la possibilità di giocare dimostra tutto il suo talento, segnando reti decisive.
I rapporti con Marcello Lippi però non migliorano. Scaduto il contratto con l'Inter, Baggio accetta l'offerta del neopromosso Brescia. Con questa maglia, sotto la guida del veterano allenatore Carlo Mazzone, Roberto Baggio arriva a siglare la sua rete numero 200 in serie A, entrando con grande merito nell'olimpo dei goleador, insieme a nomi storici quali Silvio Piola, Gunnar Nordhal, Giuseppe Meazza e José Altafini. Chiude la sua carriera con il Brescia il 16 maggio 2004; al suo attivo vi sono 205 reti in serie A e 27 reti in 56 partite giocate con la maglia della nazionale.


giovedì 11 marzo 2010

OMAR SIVORI

Sivori è nato a San Nicolas, un paesotto a 200 km da Buenos Aires, il 2 ottobre 1935. Era stato ingaggiato, su segnalazione di Renato Cesarini, dal River Plate nel 1952, che lo aveva prelevato nella squadra del Teatro Municipal. Arrivava da noi decantato componente del trio degli «Angeli dalla faccia sporca», lui, Maschio e Angelillo avevano fatto faville nella «selecion» biancoceleste vincendo il campionato sudamericano.
Doveva arrivare lui per capire che ancora non sapevamo niente nessuno, in quanto a calcio giocato con perfidissima grandezza e in quanto al resto, l'inquietudine selvaggia dell'uomo, il suo sfidare il mondo a stinchi nudi dribblando i virulenti difensori e perfino irridendoli con un giochino nuovo: il tunnel. Era l'estate 1957. Veniva a costare alla Juventus (che aveva da qualche mese il più giovane presidente d'Italia, Umberto Agnelli) la bellezza, in quei giorni non ancora esplosi nel decantato boom economico del Paese, di dieci milioni di pesetas versati nelle casse del River Plate che adoperava la cifra per rinnovare lo stadio.
Nella cronaca di Carlo Bergoglio detto Carlin, re giornalistico d'epoca, sull'avvenimento del primo match giocato allo stadio di Torino in un pomeriggio di pioggia da Enrique Omar Sivori, si colgono perplessità nella prosa del maestro, perché l'argentino rallentò molto il gioco, esprimendo soltanto a momenti la superiore perfidia del suo piede sinistro.

LO SCUDETTO DEL '58
La formazione bianconera vincitrice subito del campionato con Sivori e Charles — campionato 1957-58 — dev'essere ricordata con una sorta di trepidazione: Mattrel, Corradi e Garzena, Emoli, Ferrario, Colombo, Nicole, Boniperti, Charles, Sivori, Stacchini.
La Juventus stracciò tutti in quel campionato a 18, anche la Fiorentina (a otto punti) e il Padova di Rocco (a nove). Va detto, senza tema di smentite, che la squadra riuscì a far combaciare le sue disuguaglianze, assorbendo giocatori non proprio eleganti come Garzena, Emoli e Colombo in una trama di gioco che verticalizzava su John Charles il gallese e assumeva la parte del drammatico risolutore appunto in Sivori.
Corradi era terzino elegante e strategico quanto Garzena era pressapochista e fumoso, Emoli e Colombo sgobbavano, Boniperti col 7 di schiena ed il sorriso sulle labbra giocava da regista sul podio, legnando all'occorrenza e mai sciupando un pallone. Lo stopper Ferrario mulinava piedoni zeppi di ferraglia in modo più che altro drastico. Non fece mai male a nessuno ma faceva paura a vederlo. E tra i pali quel miracoloso ragazzo di nome Carletto Mattrel, portiere anomalo, qualcosa gli impediva di staccarsi nel colpo di reni, era tutto piazzamento e abilità nelle uscite. Non aveva tanta forza fisica. Però quel campionato fu meravigliosamente suo: 33 partite, quanti gli anni del Signore.
E che giornate memorabili... Lui, il portiere dal viso di bambino con fossette e dai riccioli spensierati, il gallese amante della birra preso perennemente in giro da Sivori e Sivori, per la regia di Boniperti, fabbricarono quel decimo scudetto.I «DUE» SIVORI
Sivori si presentò al mondo della pedata italica e in quattro battute lo ebbe ai suoi piedi. Intanto dedicava le sue dichiarazioni sarcastiche a chi volesse capire e poi giocava da capo apache, da impavido approfittatore delle debolezze altrui, da diavolo giocava a stinchi nudi, per dimostrare che non c'era mai stato un'altro come lui.
Sivori avrebbe fatto ritornare dall'Argentina il suo amicone con borse, borsette - sotto gli occhi - Renato Cesarini detto «Ce».
La classe di Enrique Omar Sivori culminava nel piede sinistro ma si esercitava nella pedinazione dell'av- versario da infilare nel suo diabolico giochino.
Quel testone arruffato da neri capelli, quei due occhi scuri ora torvi ora dolci, quella sua voce strascicata e come satura di antiche predizioni che menava per il bavero a destra e a sinistra, chi l'ha dimenticata nella Juve? Sapeva essere un impareggiabile compagnone ma subito dopo un imperdonabile rompiscatole. Era civile ma un istante dopo selvaggio.
Era amabile, perfino soave e venti secondi dopo perfino brutale. Nell'estate del 1957 la Juventus presentò al pubblico il nuovo gioiello: dribbling stretto, finte, tunnel, una gran voglia di ridicolizzare gli avversari. Lo soprannominarono «Cabezon»...

Omar SivoriEra sangue e arena, era zucchero e cicuta, era Sivori. Il suo veleno era il suo sangue indio, nei momenti di rabbia un cieco furore. Boniperti riuscì a tenergli testa soltanto con la pazienza e il sorriso. E accorciò la sua carriera per lasciare campo libero allo straripante compare. Torino, la Juventus, l'Italia si innamorarono follemente di Omar Sivori. Non che mancassero altre attrazioni.
Mentre Rachele Mussolini raccontava la vita di suo marito Benito, usciva la «cinquecento», prezzo nemmeno mezzo milione, l'automobile per tutti. Solo l'automobile? Per tutti anche il papa dell'amore, il papa della semplicità, il papa quieto e meno appariscente di tutti i tempi moderni: Giovanni XXIII.
E il calcio di Sivori per tutti, il contrario del calcio del collettivo per intenderci, calcio di angeli e diavoli radunati in un piede solo, il sinistro, in un testone arruffato. Il «Cabezon» dava spettacolo. E tutto doveva piegarsi a lui perché potesse alla domenica sentirsi abbastanza ispirato da dare spettacolo.



IL PIÙ FORTE
E non c'erano regole da rispettare né finzioni da tutelare, spiattellava crudele che quello non lo voleva vedere e la Juve ne faceva a meno. Bisognava che capissero che era il più forte, anche Boniperti anche Charles, bisognava che gli facessero una statua in Piazza San Carlo. Il Divo Sivori si concedeva tutto. Finita la partita andava dove voleva lui. Si allenava quando voleva lui, mangiava quel che voleva lui, finiva di giocare a carte quando voleva lui, «Non lo vedi che ho da fare?», diceva al povero cronista venuto per un'intervista.
Le interviste le concedeva quando si era alzato bene, e quando i monarchi si alzano bene al mattino?
Tre scudetti, tre Coppe Italia ('59,'60, e'65), 215 partite e 135 gol, nove volte azzurro d'Italia: così il ruolino di Omar Enrique, indomabile asso della Juventus. La sua specialità era il tunnel ma anche il gol sardonico. Il gol prendingiro, il gol menefreghista, il gol cinico. Più di una volta, scartati il terzino e il trafelato portiere, aspettava che rinvenissero prima di appioppare al pallone il colpetto decisivo. I suoi tocchi al volo, le sue mezze rovesciate, le sue carognesche
finte non sono state più dimenticate da chi l'ha conosciuto. Faceva il fallo per primo sul terzino, lo intimoriva lui il killer di turno. A stinchi nudi, guardandolo coi suoi occhi pieni di sconfinata protervia, dove abitava il suo vero coraggio, coraggio della disperazione, coraggio della classe, coraggio indio. Ebbe un piede solo Sivori! Il destro gli serviva per saltare sul tram? Tutte storie. Pochi fuoriclasse sono stati immensi, stratosferici, ineguagliabili come lui. Maradona fu più veloce, ma Sivori era più artistico, più malandrino, più divertente, più diavolesco...

ADDIO JUVE
Lasciò la Juve nel 1965, per colpa di Heriberto Herrera, il paraguagio. Fu soprattutto perché era precocemente logoro. Heriberto era stato chiamato, anzi convocato, per ridare ordine e disciplina alla Juve che in ultimo non si allenava più e sì alzava al mattino quando si alzava Sivori. E così Napoli conobbe Sivori. Gli scugnizzi napoletani andarono a prelevarlo a Capodichino, una colonna interminabile di cartelli e di strombettate per il monarca che veniva a regnare ancora per la gioia degli innamorati del calcio. In coppia con José Altafini, altro tipo malandrino, ma più scherzoso. Va là, altre gloriose partite, 63 in tutto, condite da dodici gol. Poi una squalifica di sei giornate, che assommata alle altre raggiungeva la cifra di 33, gli fece capire che era tempo di chiudere con il calcio, il Re doveva abdicare...

Tratto da Storie di Calcio
 

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